La bici fa anche male

Anni fa, all’alba del risorgimento ciclistico italiano, sulle mailing list di movimento ci gingillavamo con il concetto di “lato oscuro della bici”. Prima che tornasse di moda Star Wars. Non eravamo, né siamo ancora adesso, quei Mahatma delle due ruote che in linea di massima il mezzo meccanico perfetto tende a far diventare le persone anche se non vorrebbero. C’è sempre la bestia che gratta alla porta secondaria. Allora si identificava il lato oscuro con varie fesserie come i vizi da straniamento ottenuti nei vari modi, la vipera che ti prende quando corri, pratiche sessuali non ortodosse, varie ed eventuali.

A me capita questa cosa tendenzialmente spiacevole: una certa crescita del sadismo. Niente di pericoloso, ma ricordo che il sadismo latente in tutti o quasi non ha mai trovato spazio nella mia personalità, tendenzialmente affabile e cordiale pur tra le asprezze.

Mi ritrovo per esempio  la mattina a bere il mio bicchierone di caffé solubile di marca ignota, seduto al tavolo rustico di ciliegio che amo così tanto, in pareo e maglietta, ad alzarmi con urgenza per aumentare il volume della radio quando arriva Ondaverde. Quel programma cosiddetto di servizio è il mio preferito in assoluto, più di Farenheit, più del Ciclista su Radio Città futura, più di Radio Rock e la sua innegabile romanità caciarona.

M’eccito alla metrica di “LainateComoChiasso”, quasi un Om  che mi risuona tra le costole e la testa per un po’, anche dopo aver lasciato casa. La costanza di “rallentamenti per la perdita del carico di un Tir” e “incidente” mi ha convinto negli anni a cambiare radicalmente la mia percezione di casualità, fino ad arrivare alla consapevolezza che nella vita di strada attuale non esiste la causalità ma quote variabili in percentuale di accadimenti prevedibili, direi necessari nelle condizioni date. “Code a tratti” mi ricorda le lucertole con la coda mozzata, i lombrichi che si muovono ancora e ricrescono quando li tagli in due o tre pezzi.

Rido spesso, assistendo dalla mia estraneità alla vita di stenti che i contemporanei si infliggono -e purtroppo riverberano anche su chi se n’è estratto-. In quei momenti non mi sento una bella persona ma non posso farci niente: provo piacere. Sono cambiato, credo in peggio secondo la morale spicciola, da quando scrivevo agli inizi di questo millennio su Movimento(Fisso) “non riesco a ridere davvero a gola piena: qualcosa mi si strozza dentro in una specie di rantolo”.

Adesso rido senza remore, innocente. Sua maestà la Bici, nel lungo viaggio insieme, mi ha dato anche questo.

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