I mostri tra noi

Questo è uno spazio di commento, sociologia, a volte narrazione. Stavolta voglio mettere in fila un po’ di fatti recenti.

La settimana scorsa Alessandro De Marchi, detto il Rosso di Buja, ha pubblicato un lungo e infuriato sfogo sui suoi social per dirsi stufo di rischiare la vita in bicicletta per la strafottente noncuranza degli automobilisti, raccontando di un episodio che poteva costargli la vita per un cretino che stava correndo su una grossa berlina a prendere il giornale 200 metri dopo. De Marchi è un ciclista professionista, corre le maggiori gare (Giro, Tour) con il team CCC, quindi il suo sfogo ha avuto eco sui media.

Qualche giorno dopo una ventenne, Letizia Paternoster, è stata scaraventata a terra da una vettura ad una rotonda, rompendosi una mano e altri danni minori. Paternoster, a dispetto dell’età, è una fortissima pistarde con un palmarès lungo un metro e attualmente è vicecampionessa del mondo di inseguimento a squadre. Corre anche in strada, con il team Trek-Segafredo.

Il giorno dopo una ragazza un po’ più grande, Vittoria Bussi, è stata parimenti scaraventata a terra eccetera ma non si è rotta niente. Bussi è l’attuale detentrice del record dell’ora su pista. Ha scritto a Letizia un post pubblico: Giochiamo alla roulette russa? Letizia ieri è toccato a noi. Essendo arrivata più tardi di te sulle strade e ad un’età già matura, ho percepito subito che andare in bici in Italia è un gioco d’azzardo”.
Sullo sfogo di De Marchi era intervenuto Marco Scarponi, fratello di Michele, campione ucciso in allenamento due anni fa, che ha messo su una fondazione a lui intitolata e diretta alla pace stradale. Scrive al Rosso: “
“La Federazione Ciclistica Italiana, caro Alessandro, cosa fa? Perché nessuno nel palazzo alza la voce? A parte Davide Cassani che ci mette tutto se stesso, io vedo il vuoto. Ascolto il vuoto. Un vuoto arredato da pubblicità di auto ovunque, soprattutto alle vostre competizioni”. E propone uno stop polemico di tutti i corridori nel corso di qualche gara importante.
Tranne Marco quelli citati sopra sono campioni, professionisti.

In ciascuno dei tre casi gli automobilisti rivendicavano o giustificavano il loro operato.

Molti giorni dopo la Federciclismo interviene elencando in un testo eccessivamente lungo le cose che fa per la sicurezza dei ciclisti, un dilungamento che prova a nascondere il nulla di fatto reale.

Qualche giorno fa esce uno spot che pubblicizza un’automobile, marca Alfa Romeo. Lo spot è tratto da un film che uscirà su Netflix e mostra una scena di corsa, forse un inseguimento, a Firenze. Pedoni che scappano, fumo, sgommate, salti, tutti in pieno centro cittadino, addirittura lo sfondamento delle porte finestre di un museo e relativa corsa nei corridoi, naturalmente con persone che si rifugiano dietro le statue. Undici associazioni scrivono a due ministri e al sindaco di Firenze chiedendo di farsi parte attiva per far ritirare quello sport, illegale secondo la normativa italiana. La richiesta è stata resa pubblica, ricevendo centinaia di messaggi di fastidio e odio nei confronti di chi l’ha fatta. Un giovane alfista, in un video su Youtube, ha osservato che chi critica quello spot “non dovrebbe proprio esistere”.

Il 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza delle donne, l’Istat pubblica un sondaggio dal risultato ributtante da cui risulta che quasi metà della popolazione italiana ritiene che in caso di violenza sessuale la donna se l’è cercata. L’avrete letto, inutile qui snocciolare quei fetidi dati.

I mostri sono veri. Questa non è la società che vogliamo. Noi siamo di più. Lavoriamo insieme per rigettare la cultura della morte. Forza sardine, il 14 dicembre in piazza a Roma.

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