Il viaggio di Massimo, da Roma ad Atene a sua insaputa

Chi non ha mai viaggiato in bicicletta immagina che farlo presupponga una discreta organizzazione. Anche chi lo fa, persino con una certa regolarità, tende a crearsi una zona di conforto minima ma presente. Attrezzi e ricambi, qualche vestito, l’immancabile suite antipioggia, qualcosa da mangiare in caso di calo di energia, sacco a pelo.

Il viaggio che voglio raccontare nasce invece nel modo più strampalato possibile: difficile venire a conoscenza di un viaggio così disorganizzato e casuale, potenzialmente disastroso. Si svolge nel luglio-agosto 2016.

Un gruppo di amici romani, autodefinitosi “Cialtroni in bici” con una precisione per loro rara, decide di seguire un percorso che unisca Roma ad Atene alla ricerca delle suggestioni dell’antichità classica, della Magna Grecia (l’idea del viaggio nasce appunto da “magna”, che in latino vuol dire quello che vuol dire ma in romanesco è voce del verbo “mangiare”, attività che il gruppo predilige in inverno alla ricerca di trattorie di collina preferibilmente rozze e economiche), dell’imbarco a Brindisium e tutto il romantico resto.

La partenza è dal Colosseo, l’arrivo è al Partenone. Al via si presentano alcuni amici del gruppo con l’idea di accompagnarlo a Velletri, neanche 50 km da Roma. Tra questi Massimo, un restauratore del rione Monti che si muove esclusivamente in bici e di tanto in tanto ne costruisce una. Per l’occasione si presenta con la sua bici da corsa, una vecchia Basso in carbonio, un leggero portapacchi con una sola borsa, una canottiera (gialla: diventerà poi il simbolo di come non si deve fare un viaggio in bici) e una di riserva, un paio di pantaloncini, qualche euro in tasca, nessun documento, solo bancomat e smartphone.

A Velletri il gruppo saluta i viaggiatori. Massimo decide di accompagnarli fino a Latina, per poi tornare a Roma in treno il giorno dopo. Però il mare è vicino, e il giorno dopo prosegue con loro per un bagno in un posto qualsiasi del basso Lazio, purché ci sia una stazione per tornare in treno. Però anche Napoli è vicina e ci sono mille treni. Ma sarà la compagnia, sarà la bellezza di fare strada in bici, cibo e vino, insomma continua verso l’Irpinia. Poi la Puglia. Poi l’imbarco per la Grecia. Siccome la fortuna aiuta gli stolti riesce a imbarcarsi perché un’altra romana ha deciso di raggiungere il gruppo a Taranto e lui si fa portare la carta d’identità.

Il tratto in Italia è filato liscio, anche perché il capogruppo ha previsto tappe con amici che possono offrire un riparo per la notte. In Grecia la musica cambia e iniziano i primi dissapori, forse perché si comincia a dormire in tenda, che Massimo non ha e quindi occupa spazio imprevisto in quelle altrui. In breve dopo qualche giorno di litigate l’aria si fa pesante e lui si separa dal gruppo, decidendo di raggiungere Atene per conto suo lungo più o meno lo stesso percorso ma senza l’assillo del viaggio in carovana. Incomincia un vagabondaggio a modo suo, e siccome fa il restauratore visita molti luoghi d’arte che gli interessavano consultando lo smartphone. Continua ad essere seminudo e riesce persino a perdere l’unico pile per le notti in montagna comprato durante il percorso. Ubriaco, riesce a spalmarsi a 60 km/h in discesa.

Tutto sommato se la cava e arriva ad Atene variamente contuso ma felice. Prende un aereo e torna a Roma.

Da poco ha deciso di scrivere un libro su questo cialtronissimo viaggio e mi ha chiesto di presentarlo. Invece di dargli una craniata gli ho detto sì, per cui chi vuole può venire a sentire venerdì 21 dicembre, dal Biciclettaro di via Urbana 122, Roma.

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