L’indecisione

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Ammettiamolo: noi romani non sappiamo cosa fare, chi votare.

Gli indecisi sono obiettivamente la maggioranza. Chi ha un’opinione precisa su chi deve essere il prossimo sindaco di Roma (se anche questo incarico pubblico abbia un senso, dopo la cacciata di Marino) è altrettanto obiettivamente una minoranza. Oltre la metà dell’elettorato attivo non andrà a votare, nel restante 40 e spicci per cento la mente annaspa per una buona metà, i decisi neanche s’informano più: tanto hanno deciso. Nel frattempo siamo arrivati all’ultima settimana prima del voto. Continua a leggere

Ratti ratti. La solerzia in atto

Gli omini del Campidoglio, solitamente inerti, hanno cancellato la 5th Av. ciclabile popolare.

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Svelti (ratti) come la famosa gazzella che s’alza ogni giorno in Africa hanno severamente riportato ordine&disciplina nell’austera viabilità di RomaCapitale, così da mantenere quel’armonioso equilibrio nei secoli fedele.
Accadde già, ricordo, per S.Bibiana prima versione. Rifatta dagli attivisti, fu lasciata vivere, allora.
Ricordo una riunione del 20145 con il fu sindaco Marino: parlando di S.Bibiana, il chirurgo primo cittadino disse candidamente “io non l’avrei cancellata”, gettando nello sconforto (si misero una mano in faccia, all’unisono) l’allora assessore alla Mobilità e il capo dell’Agenzia mobilità, evidentemente i responsabili di quell’azione.

Adesso non vedo l’ora di avere un sindaco all’altezza della modernità. Non so se riusciremo a uscire da questa palude ultradecennale, ma di certo a Roma c’è gente che non si rassegna a vivere come australopitechi, qualunque negatività gli si presenti di fronte.

(ps pomeridiano: nel frattempo c’è stata una rivendicazione dell’azione dell’altra sera)

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Gimme five

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Da stasera Roma ha la sua quinta avenue ciclabile (sì, è uno sberleffo, amaro, al candidato della destra milanese che sostiene l’assenza di ciclabili a New York, mentre solo a Manhattan ce ne sono all’incirca 400 km. Una figura di merda storica, direi).

Alcuni attivisti -poi segnalati alla polizia da un tassista, per abuso di autodifesa- hanno disegnato a due passi da S.Pietro (quella grande chiesa che ogni giorno vede girare intorno immensi torpedoni che poi vanno a parcheggiare nelle limitrofie, a Gregorio VII, Monte del Gallo eccetera) la quinta delle ciclovie popolari apparse negli ultimi anni a Roma.
Ricordiamole: S.Bibiana, la prima e più amata per la sua stabile affabilità nei confronti dei ciclisti romani, poi ponte Tuscolano e le due ciclopop a porta Maggiore, sotto i cavalconi ferroviari per S.Lorenzo e Prenestina.

Questa nuova si trova lungo il grande ponte Principe Amedeo di Savoia, che collega corso Vittorio con il tunnel di porta Cavalleggeri.

A noi questi anonimi attivisti piacciono tanto, sono proprio bravi e sempre più professionali.

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La bici fa anche male

Anni fa, all’alba del risorgimento ciclistico italiano, sulle mailing list di movimento ci gingillavamo con il concetto di “lato oscuro della bici”. Prima che tornasse di moda Star Wars. Non eravamo, né siamo ancora adesso, quei Mahatma delle due ruote che in linea di massima il mezzo meccanico perfetto tende a far diventare le persone anche se non vorrebbero. C’è sempre la bestia che gratta alla porta secondaria. Allora si identificava il lato oscuro con varie fesserie come i vizi da straniamento ottenuti nei vari modi, la vipera che ti prende quando corri, pratiche sessuali non ortodosse, varie ed eventuali.

A me capita questa cosa tendenzialmente spiacevole: una certa crescita del sadismo. Niente di pericoloso, ma ricordo che il sadismo latente in tutti o quasi non ha mai trovato spazio nella mia personalità, tendenzialmente affabile e cordiale pur tra le asprezze.

Mi ritrovo per esempio  la mattina a bere il mio bicchierone di caffé solubile di marca ignota, seduto al tavolo rustico di ciliegio che amo così tanto, in pareo e maglietta, ad alzarmi con urgenza per aumentare il volume della radio quando arriva Ondaverde. Quel programma cosiddetto di servizio è il mio preferito in assoluto, più di Farenheit, più del Ciclista su Radio Città futura, più di Radio Rock e la sua innegabile romanità caciarona.

M’eccito alla metrica di “LainateComoChiasso”, quasi un Om  che mi risuona tra le costole e la testa per un po’, anche dopo aver lasciato casa. La costanza di “rallentamenti per la perdita del carico di un Tir” e “incidente” mi ha convinto negli anni a cambiare radicalmente la mia percezione di casualità, fino ad arrivare alla consapevolezza che nella vita di strada attuale non esiste la causalità ma quote variabili in percentuale di accadimenti prevedibili, direi necessari nelle condizioni date. “Code a tratti” mi ricorda le lucertole con la coda mozzata, i lombrichi che si muovono ancora e ricrescono quando li tagli in due o tre pezzi.

Rido spesso, assistendo dalla mia estraneità alla vita di stenti che i contemporanei si infliggono -e purtroppo riverberano anche su chi se n’è estratto-. In quei momenti non mi sento una bella persona ma non posso farci niente: provo piacere. Sono cambiato, credo in peggio secondo la morale spicciola, da quando scrivevo agli inizi di questo millennio su Movimento(Fisso) “non riesco a ridere davvero a gola piena: qualcosa mi si strozza dentro in una specie di rantolo”.

Adesso rido senza remore, innocente. Sua maestà la Bici, nel lungo viaggio insieme, mi ha dato anche questo.