Dal web al Senato in 9 giorni

Questo è un primo risultato, altri spero ne verranno.
Domani verrà presentato il disegno di legge che trovate di seguito. Prima di leggerlo vorrei farvi considerare un po’ di cose:
– tutto ciò nasce dalla volontà di alcuni ciclisti dotati di blog di cambiare lo schifoso modo di circolare in città e altrove. Dopo aver rilanciato dli ormai famosi 8 punti del Times, una squadra sempre maggiore di attivisti ha costruito un movimento, finora solo via web ma presto nelle strade (seguite il vostro blog preferito o collegatevi, e aderite, al gruppo Facebook che ormai ha superato i 5.000 aderenti e non smette di crescere); questo movimento è riuscito finalmente a imporre, e il tutto in pieno inverno, un dibattito sulla mobilità ciclistica come cardine di una nuova cultura del vivere le proprie città attraverso uno spostamento innocuo, facile, ultraeconomico e paradossalmente bistrattato da questo maledetto paese preda di Fiat e altre lobbies.

Noi tutti impegnati in questa campagna di civiltà e di difesa personale dalla violenza del traffico italiano vi chiediamo di sostenerla e di aggiungervi, con i vostri blog, social network, mail, presenza in strada, lettere, pergamene, parole, azioni: si può cambiare persino l’Italia anche se sembra un’impresa disperata, ma serve lo sforzo di tutte le anime migliori di questo posto.
quello sotto è solo un piccolo inizio. Ma vi suggerisco di leggere bene il preambolo.

Interventi per lo sviluppo e la tutela della mobilità ciclistica”

On. Colleghi: questo disegno di legge ha lo scopo di recepire nella nostra legislazione le richieste formulate nell’appello “Salviamo i ciclisti”. In sostanza si vuole intervenire per fermare il drammatico numero di incidenti, spesso mortali, del quale sono testimoni le strade delle nostre città.

Il tutto è partito dalla campagna “Cities fit for cycling” del Times a sostegno della sicurezza dei ciclisti. Il noto quotidiano di Londra, il 2 febbraio scorso, dopo un grave incidente subito in novembre da una sua giornalista ora in coma, aveva aperto la sua homepage con un appello, chiedendo al governo inglese una serie di azioni da porre immediatamente in campo per tentare di fermare una strage che ha contato, in 10 anni, ben 1.275 ciclisti uccisi.

Successivamente è arrivato anche in Italia, rilanciato da decine di blogger e di siti dedicati al mondo delle mobilità ciclistica. Raggiungendo in pochi giorni oltre 20 mila adesioni, che di giorno in giorno stanno aumentando.

Anche perché in Italia il dato inglese drammaticamente raddoppia. In 10 anni in Italia sono stati 2.556 i ciclisti vittime della strada. Nel 2010 il nostro è stato il terzo Paese europeo per numero di morti tra i ciclisti che percorrono le strade, 263 contro i 462 della Germania e i 280 della Polonia.

Questi numeri drammatici derivano anche dal cronico ritardo delle nostre città, rispetto al resto dell’Europa, di dotarsi di piste ciclabili.

E’ giunto il momento di riconoscere, ad ogni livello amministrativo e politico, la ciclabilità non solo come parte integrante della moderna mobilità quotidiana ma come soluzione efficace e a impatto zero per gli spostamenti cittadini personali su mezzo privato. Deve essere riconosciuto l’elevato valore sociale della mobilità ciclistica. Il suo sviluppo e la sua tutela, nel nostro Paese lungamente sottovalutati e anzi depressi dall’attenzione centrata sulla mobilità a motore gli attuali standard europei, già da anni a livelli altissimi e in Italia quasi inesistenti. La sicurezza delle persone che scelgono di spostarsi in bici deve essere considerata una priorità, da raggiungere soprattutto e in prima battuta attraverso la limitazione e la moderazione del traffico veicolare a motore. L’attenzione del legislatore alla sicurezza si deve concentrare su decise azioni di limitazione della velocità in ambito urbano.

L’approvazione di questo disegno di legge, a costo zero per le casse dello Stato, vorrebbe dire che anche in Italia, finalmente, si vuole favorire la cultura del rispetto delle regole della circolazione stradale, dando maggiore tutela e sicurezza a chi utilizza la mobilità ciclistica, in modo anche di favorirne la sempre maggiore diffusione, inoltre sarebbe anche un contributo a ridurre, ove possibile, la quota di spostamenti su auto privata a vantaggio di un sistema di mobilità che porterebbe innegabili vantaggi da diversi punti di vista, quali solo ad esempi esplicativi quelli ambientali e trasportistici.

DISEGNO DI LEGGE

Interventi per lo sviluppo e la tutela della mobilità ciclistica”

Articolo 1

(Finalità)

1. La presente legge ha la finalità di favorire la cultura del rispetto delle regole della circolazione stradale, dando maggiore tutela a chi utilizza la mobilità ciclistica, nonché ad incentivare e sviluppare l’uso della mobilità ciclistica.

Articolo 2

(Obbligo per gli autoarticolati di dotarsi di strumenti tecnici a tutela della mobilità ciclistica)

1. Al fine di realizzare gli obiettivi di cui all’articolo 1, il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture emana entro 90 giorni, dall’approvazione della presente legge, un decreto che introduca, nel Decreto Legislativo N. 285 del 30/04/1992, e successive modificazioni, e nel regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, l’obbligo per gli autoarticolati che transitano nei centri urbani di essere dotati di sensori, allarmi sonori che segnalino la svolta, specchi supplementari e barre di sicurezza e altri strumenti tecnici che tutelino la mobilità ciclistica e le relative norme tecniche di applicazione

Articolo 3

(Impiantistica e strumenti tecnici incroci pericolosi)

1. Al fine di realizzare gli obiettivi di cui all’articolo 1, il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture sentite le Regioni e gli enti locali, entro 90 giorni, dalla approvazione della presente legge, realizza, senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, il monitoraggio degli incroci più pericolosi affinché entro i successivi 90 giorni siano impiantati, nelle suddette aree, semafori preferenziali per i ciclisti, specchi e altri strumenti tecnici che permettano ai guidatori di autoarticolati, autovetture e di moto e ciclomotori di individuare la presenza dei fruitori della mobilità ciclistica.

Articolo 4

(Monitoraggio mobilità ciclistica)

1. Al fine di realizzare gli obiettivi di cui all’articolo 1, il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture entro 90 giorni, dalla approvazione della presente legge, realizza, senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello stato, un’indagine nazionale per determinare il numero di persone che utilizzano la mobilità ciclistica, le aree interessate dalla mobilità ciclistica, il numero totale di chilometri di piste ciclabili e la loro dislocazione nelle diverse aree del Paese, nonché il numero dei ciclisti oggetto di incidenti. Tale indagine deve avere cadenza annuale e deve essere illustrata, entro il 31 dicembre di ogni anno alle competenti Commissioni Parlamentari.

Articolo 5

(Trasferimento del 2% del budget delle società gestori autostradali per la realizzazione di piste ciclabili)

1. E’ fatto obbligo alle società che gestiscono strade e autostrade di destinare il 2% del proprio budget agi enti locali per la realizzazione di poste ciclabili. Il Ministero dell’economia e delle Finanze d’intesa con il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture emana entro 90 giorni, dalla approvazione della presente legge, un decreto che stabilisce le modalità e i criteri del trasferimento di risorse di cui al presente articolo.

Articolo 6

(Test di guida)

1. Al fine di realizzare gli obiettivi di cui all’articolo 1, il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture entro 90 giorni, dall’approvazione della presente legge, emana un decreto che introduca, nel Decreto Legislativo N. 285 del 30/04/1992, e successive modificazioni, e nel regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, i criteri, le modalità e i principi per la realizzazione di corsi di formazione, atti a migliorare la sicurezza per quanti usufruiscono della mobilità ciclista. La partecipazione ai corsi di cui al presente articolo diventa requisito obbligatorio per il conseguimento della patente di guida.

Articolo 7

(Limiti di velocità in aree residenziali)

1. Al fine di realizzare gli obiettivi di cui all’articolo 1, il Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture entro 90 giorni, dall’entrata in vigore della presente legge, emana un decreto che introduca, nel Decreto Legislativo N. 285 del 30/04/1992, e successive modificazioni, e nel regolamento di attuazione di cui al D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, l’obbligo del limite di 30 km/h di velocità massima nelle aree residenziali sprovviste di piste ciclabili.

Articolo 8

(Affidamento ad aziende private e pubbliche delle realizzazione e gestione delle piste ciclabili)

1. Le aziende private o pubbliche o a persone fisiche possono sponsorizzare la creazione di piste ciclabili e superstrade ciclabili anche attraverso l’attività di gestione di noleggi biciclette nelle suddette aree.

Articolo 9

(Istituzione di un commissario alla mobilità ciclistica)

1. Al comma 1 dell’articolo 3 del decreto ministeriale del 27 marzo 1998 dopo le parole “…responsabile della mobilità aziendale…” sono aggiunte le seguenti parole “…e uno con specifiche competenze in materia di mobilità ciclistica…”;

2. al comma 3 dell’articolo 3 del decreto ministeriale del 27 marzo 1998 dopo le parole “…struttura di supporto e coordinamento,…” aggiungere le seguenti parole “…all’interno della quale devono essere individuate specifiche responsabilità con competenze sulla mobilità ciclistica,…”.

Articolo 10

(Aumento delle sanzioni amministrative)

1. Le sanzioni amministrative pecuniari previste dall’articolo 141 del Decreto Legislativo N. 285 del 30/04/1992, e successive modificazioni, sono raddoppiate.

Articolo 11

(Entrata in vigore)

1. Le disposizioni della presente legge entrano in vigore il giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale

2 pensieri su “Dal web al Senato in 9 giorni

  1. “La bicicletta
    richiede poco spazio. Se ne possono parcheggiare diciotto al posto di un auto,
    se ne possono spostare trenta nello spazio divorato da un unica vettura. Per
    portare quarantamila persone al di là di un ponte in un ora, ci vogliono dodici
    corsie se si ricorre alle automobili e solo due se le quarantamila persone
    vanno pedalando in bicicletta.”. L’ha detto  Ivan Illich,
    austriaco, fattosi prete a Roma nel 1951 e divenuto importante dirigente della
    Chiedsa Cattolica di New York e, da lì, dell’America Latina, per la quale fonda
    nel ’60 il CIDOC, Centro Intercultural de Documentación, in Messico, un centro
    di ricerca e formazione per i missionari del Nord America. Illich nei ’70
    partecipa della rivolta della chiesa latinoamericana contro l’eccessiva collateralità
    del Vaticano agli USA e passa ad uno stato laicale col quale lo troviamo nel
    ’77 a insegnare a Trento nel visibilio del movimento studentesco da cui
    usciranno Curcio & co., i fondatori delle Br. Colpito dal cancro che
    combatteva fumando oppio, Illich è morto dieci anni fa, ricordato come
    pensatore, docente di mille università e grande didattico. Invece fu un cattivo
    maestro, più che inutile, dannoso nei confronti del mondo istituzionale e dei
    giovani cui si rivolse, non perché predicasse contro il sistema politico e
    sociale o perché sostenesse la congiura, l’antisviluppo, la chiusura elitaria e
    carbonara, ma perché lasciava, nel distruggere, solo vuoto, nessuna proposta
    realistica e nessun miglioramento futuro. Non meraviglia perciò la citazione
    che fa parte dell’esaltazione di cose apparentemente democratiche ed invece
    puntate contro la gente per peggiorarne la condizione e lo status quotidiano.
    Che la bicicletta sia più maneggevole dell’auto, è un fatto scontato. Anche
    l’auto è più maneggevole di un autobus; e l’autobus lo è più di un treno; ed il
    treno lo è più di un aereo. Più maneggevole di tutto è poi solo il corpo umano,
    senza bici, auto, autobus, treno e aereo. Ben diverso è il consumo di tutti
    questi mezzi. Chi, con illich, si illumina per la bici, pensa che sia andando a
    piedi che a pedali, non si consumano materiali energetici inquinanti, come
    avviene con gli altri mezzi citati. Ben diversi sono i risultati, però. Non
    potremmo avere grandi agglomerati urbani senza auto o autobus, non potremmo
    avere sviluppo nel mondo senza treni ed aerei. A chi citasse la crisi, sarebbe
    facile contrapporre lo sviluppo che stanno avendo aree del mondo solitamente
    arretrate, per una crescita mondiale del 4% hic et nunc inimmaginabile nei
    secoli precedenti. I fautori della bici e di illich in fondo pensano che il
    male stia qui, nell’arricchimento di parte delle masse dei Brics o
    nell’abbandono della terra per le realtà urbane determinatasi in 150 anni. Era
    meglio, secondo loro, quando i milioni di popolani non vedevano mai il mare,
    vivendoci magari a 100 km di distanza. Piangono 2556 ciclisti
    morti negli ultimi 10 anni sulle strade italiane e 1.275 su quelle inglesi.
    Piangono 462 ciclisti morti in un anno in Germania e i 280 in Polonia. Li piangono “per la villania, la
    disattenzione, la scortesia, la negligenza, la villania, il disinteresse, nei
    fatti, anche dei pubblici amministratori.” Titolano i blog: “In macchina, solo
    merde”. Si strappano le vesti perché è in coma una giornalista del Times, per
    incidente ciclistico, caso che ha spinto il noto quotidiano di Londra  a sostenere una campagna a sostegno della sicurezza dei ciclisti,
    detta “Cities fit for cycling”. Decine di richiami
    e blog in se e per sè  non così numeroso
    sono arrivati subito ad una proposta di legge. E’ una di quelle cose che poi
    muove la gente contro i Legifici, queste strutture politiche costosissime che a
    fatica si occupano di cose serie, ma che si mobilitano per cause evidentemente
    solo nominalistiche o di poco conto, come il benessere degli animali domestici,
    l’elettrosmog, o altre cause lontane nel tempo e nello spazio di disastri
    ambientali.  La proposta di legge “Interventi per lo
    sviluppo e la tutela della mobilità ciclistica” è stata promossa dal
    democratico Francesco
    Ferrante, assieme ai
    democratici Adamo, Agostini, Amati Andria, Armato, Barbolini, Bastico, Bassoli, Biondelli,
    Bosone, Carofiglio,
    Casson, Chiti, Vita più altri 24; dai radicali Bonino, Perduca
    e Poretti; ma anche da 5 Pdl (Alicata,
    D’Ali Fluttero, Orsi e Nessa), dai
    terzopolisti Baio, Bruno,
    De Luca, Gustavino, Peterlini,
    Pinzger, Serra e Tedesco, nonché
    dai dipietristi Pardi e Giambrone.
    Nomi da ricordare per gli automobilisti, che pagano due volte in più degli
    altri l’assistenza sanitaria, che sostengono una parte notevolissima di entrate
    erariali, che soffrono tutti i giorni ore per raggiungere il lavoro o la famiglia
    in un contesto di strade mai migliorate seriamente negli ultimi trent’anni. Nomi
    da non rivotare se ne sarà data possibilità. Non meraviglia che la maggior
    parte delle firme sia del Pd che infatti ha perso sempre di più il capo e
    confonde astratti messaggi belli e democratici senza accorgersi che sono fatti
    per l’elite societaria che già vive meglio. Per i ceti medio bassi vivere con
    la bici può essere possibile in piccole città come Pisa, ad es; in generale è
    impossibile. D’altronde le stesse menti illuminate che predicano la
    disponibilità alla mobilità sociale per agevolare il mercato, poi vorrebbero
    punire i mezzi utili a raggiungere le località più distanti. Per chi ha a cuore
    la gente, è evidente che l’automobile, la possibilità di raggiungere luoghi
    lontani è uno strumento di libertà personale. La seconda cosa più importante
    per la gente comune dopo il possesso dell’abitazione. Anche qui non meraviglia
    che chi attacca la proprietà della casa (stupidamente preferita
    all’istruzione), poi abbia nel mirino l’auto. Di auto ce ne sono anche troppe,
    è vero, il che determina il fatto che se ne venderanno sempre meno, mettendo a
    rischio occupazione e brand del mercato relativo. Sarebbe un bene anche potere
    usare l’auto quando si vuole e non obbligatoriamente grazie al telelavoro che
    rende superfluo mantenere grandi sedi aziendali e amministrative. Comunque ogni
    scelta dovrebbe restare del singolo senza campagne moralizzanti tese a
    condannare l’automobilista rispetto al ciclista. Pochi in realtà, tra i non giovanissimi,
    sono in grado di usare la bike con l’emegia necssaria per i ritmi di una
    normale giornata urbana. Ben per loro, il che non deve essere male per gli
    altri. Dispiace a tutti per 255 ciclisti morti l’anno, ma deve dispiacere anche
    dei 7mila morti l’anno per il traffico. L’attenzione stessa non può che
    indirizzarsi proporzionalmente ai numeri che parlano da soli. In Europa abbiamo
    avuto anche 120mila morti in un anno con 2 milioni di incidenti. C’è molto da
    fare per proteggere pedoni e automobilisti, Non dire la bugia che le città
    siano fatte (fit) per il ciclista come sostiene il Times. Non è vero; il parco,
    il cortile, il centro città ed i quartieri snob sono fatti per il ciclista. Le
    strade no; sono fatte per macinare km. Il Times potrebbe pensare ai milioni di
    londinesi e no che si fanno in auto o treno anche 200 km per raggiungere il
    lavoro. Altrimenti anche l’incidente, il dolore e l’attenzione sono un
    privilegio per i già privilegiati. 

  2. “La bicicletta
    richiede poco spazio. Se ne possono parcheggiare diciotto al posto di un auto,
    se ne possono spostare trenta nello spazio divorato da un unica vettura. Per
    portare quarantamila persone al di là di un ponte in un ora, ci vogliono dodici
    corsie se si ricorre alle automobili e solo due se le quarantamila persone
    vanno pedalando in bicicletta.”. L’ha detto  Ivan Illich,
    austriaco, fattosi prete a Roma nel 1951 e divenuto importante dirigente della
    Chiedsa Cattolica di New York e, da lì, dell’America Latina, per la quale fonda
    nel ’60 il CIDOC, Centro Intercultural de Documentación, in Messico, un centro
    di ricerca e formazione per i missionari del Nord America. Illich nei ’70
    partecipa della rivolta della chiesa latinoamericana contro l’eccessiva collateralità
    del Vaticano agli USA e passa ad uno stato laicale col quale lo troviamo nel
    ’77 a insegnare a Trento nel visibilio del movimento studentesco da cui
    usciranno Curcio & co., i fondatori delle Br. Colpito dal cancro che
    combatteva fumando oppio, Illich è morto dieci anni fa, ricordato come
    pensatore, docente di mille università e grande didattico. Invece fu un cattivo
    maestro, più che inutile, dannoso nei confronti del mondo istituzionale e dei
    giovani cui si rivolse, non perché predicasse contro il sistema politico e
    sociale o perché sostenesse la congiura, l’antisviluppo, la chiusura elitaria e
    carbonara, ma perché lasciava, nel distruggere, solo vuoto, nessuna proposta
    realistica e nessun miglioramento futuro. Non meraviglia perciò la citazione
    che fa parte dell’esaltazione di cose apparentemente democratiche ed invece
    puntate contro la gente per peggiorarne la condizione e lo status quotidiano.
    Che la bicicletta sia più maneggevole dell’auto, è un fatto scontato. Anche
    l’auto è più maneggevole di un autobus; e l’autobus lo è più di un treno; ed il
    treno lo è più di un aereo. Più maneggevole di tutto è poi solo il corpo umano,
    senza bici, auto, autobus, treno e aereo. Ben diverso è il consumo di tutti
    questi mezzi. Chi, con illich, si illumina per la bici, pensa che sia andando a
    piedi che a pedali, non si consumano materiali energetici inquinanti, come
    avviene con gli altri mezzi citati. Ben diversi sono i risultati, però. Non
    potremmo avere grandi agglomerati urbani senza auto o autobus, non potremmo
    avere sviluppo nel mondo senza treni ed aerei. A chi citasse la crisi, sarebbe
    facile contrapporre lo sviluppo che stanno avendo aree del mondo solitamente
    arretrate, per una crescita mondiale del 4% hic et nunc inimmaginabile nei
    secoli precedenti. I fautori della bici e di illich in fondo pensano che il
    male stia qui, nell’arricchimento di parte delle masse dei Brics o
    nell’abbandono della terra per le realtà urbane determinatasi in 150 anni. Era
    meglio, secondo loro, quando i milioni di popolani non vedevano mai il mare,
    vivendoci magari a 100 km di distanza. Piangono 2556 ciclisti
    morti negli ultimi 10 anni sulle strade italiane e 1.275 su quelle inglesi.
    Piangono 462 ciclisti morti in un anno in Germania e i 280 in Polonia. Li piangono “per la villania, la
    disattenzione, la scortesia, la negligenza, la villania, il disinteresse, nei
    fatti, anche dei pubblici amministratori.” Titolano i blog: “In macchina, solo
    merde”. Si strappano le vesti perché è in coma una giornalista del Times, per
    incidente ciclistico, caso che ha spinto il noto quotidiano di Londra  a sostenere una campagna a sostegno della sicurezza dei ciclisti,
    detta “Cities fit for cycling”. Decine di richiami
    e blog in se e per sè  non così numeroso
    sono arrivati subito ad una proposta di legge. E’ una di quelle cose che poi
    muove la gente contro i Legifici, queste strutture politiche costosissime che a
    fatica si occupano di cose serie, ma che si mobilitano per cause evidentemente
    solo nominalistiche o di poco conto, come il benessere degli animali domestici,
    l’elettrosmog, o altre cause lontane nel tempo e nello spazio di disastri
    ambientali.  La proposta di legge “Interventi per lo
    sviluppo e la tutela della mobilità ciclistica” è stata promossa dal
    democratico Francesco
    Ferrante, assieme ai
    democratici Adamo, Agostini, Amati Andria, Armato, Barbolini, Bastico, Bassoli, Biondelli,
    Bosone, Carofiglio,
    Casson, Chiti, Vita più altri 24; dai radicali Bonino, Perduca
    e Poretti; ma anche da 5 Pdl (Alicata,
    D’Ali Fluttero, Orsi e Nessa), dai
    terzopolisti Baio, Bruno,
    De Luca, Gustavino, Peterlini,
    Pinzger, Serra e Tedesco, nonché
    dai dipietristi Pardi e Giambrone.
    Nomi da ricordare per gli automobilisti, che pagano due volte in più degli
    altri l’assistenza sanitaria, che sostengono una parte notevolissima di entrate
    erariali, che soffrono tutti i giorni ore per raggiungere il lavoro o la famiglia
    in un contesto di strade mai migliorate seriamente negli ultimi trent’anni. Nomi
    da non rivotare se ne sarà data possibilità. Non meraviglia che la maggior
    parte delle firme sia del Pd che infatti ha perso sempre di più il capo e
    confonde astratti messaggi belli e democratici senza accorgersi che sono fatti
    per l’elite societaria che già vive meglio. Per i ceti medio bassi vivere con
    la bici può essere possibile in piccole città come Pisa, ad es; in generale è
    impossibile. D’altronde le stesse menti illuminate che predicano la
    disponibilità alla mobilità sociale per agevolare il mercato, poi vorrebbero
    punire i mezzi utili a raggiungere le località più distanti. Per chi ha a cuore
    la gente, è evidente che l’automobile, la possibilità di raggiungere luoghi
    lontani è uno strumento di libertà personale. La seconda cosa più importante
    per la gente comune dopo il possesso dell’abitazione. Anche qui non meraviglia
    che chi attacca la proprietà della casa (stupidamente preferita
    all’istruzione), poi abbia nel mirino l’auto. Di auto ce ne sono anche troppe,
    è vero, il che determina il fatto che se ne venderanno sempre meno, mettendo a
    rischio occupazione e brand del mercato relativo. Sarebbe un bene anche potere
    usare l’auto quando si vuole e non obbligatoriamente grazie al telelavoro che
    rende superfluo mantenere grandi sedi aziendali e amministrative. Comunque ogni
    scelta dovrebbe restare del singolo senza campagne moralizzanti tese a
    condannare l’automobilista rispetto al ciclista. Pochi in realtà, tra i non giovanissimi,
    sono in grado di usare la bike con l’emegia necssaria per i ritmi di una
    normale giornata urbana. Ben per loro, il che non deve essere male per gli
    altri. Dispiace a tutti per 255 ciclisti morti l’anno, ma deve dispiacere anche
    dei 7mila morti l’anno per il traffico. L’attenzione stessa non può che
    indirizzarsi proporzionalmente ai numeri che parlano da soli. In Europa abbiamo
    avuto anche 120mila morti in un anno con 2 milioni di incidenti. C’è molto da
    fare per proteggere pedoni e automobilisti, Non dire la bugia che le città
    siano fatte (fit) per il ciclista come sostiene il Times. Non è vero; il parco,
    il cortile, il centro città ed i quartieri snob sono fatti per il ciclista. Le
    strade no; sono fatte per macinare km. Il Times potrebbe pensare ai milioni di
    londinesi e no che si fanno in auto o treno anche 200 km per raggiungere il
    lavoro. Altrimenti anche l’incidente, il dolore e l’attenzione sono un
    privilegio per i già privilegiati. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.